In questo articolo approfondiamo l’argomento della Conoscenza e della Coscienza di sé. Per farlo ho tratto qualche anteprima dal mio libro. Iniziamo facendoci una domanda basilare. “Chi siamo?”
“Viviamo in un mondo costruito, le città sono costruite, le strade sono costruite; così in questo mondo costruito, le nostre convinzioni, sono fragili e distruttibili.” dal mio libro ©La Fragilità può essere Distrutta – Ordina Qui
Di solito, o quantomeno nella nostra epoca, proviamo a “definirci” attraverso qualcosa che è sempre “al di fuori di noi” e che rappresenta, a dire il vero, soltanto un’immagine riflessa (e falsata) di noi stessi: un profilo social, un lavoro, una diagnosi, altro ancora.
Attraverso un’etichetta che ci dia un valore, un’importanza o un riconoscimento sociale, noi crediamo di conoscerci. “Io sono uno scrittore”. Ma sono uno scrittore adesso che scrivo; non lo ero in passato e forse non lo sarò in futuro, o nemmeno fra un’ora. Potrei essere altro. “Potrei non esserlo”.
Da queste fazioni, divisioni, ed etichette nasce il conflitto che genera dolore.
Quando, allora, possiamo davvero Conoscerci? Proviamo a pensarci. Si è qualcuno, solo se qualcun altro è lì a riconoscere il nostro valore, non è così? Questo significa che per essere davvero qualcuno – e non qualcosa descritto da un’etichetta – è necessario essere in relazione con qualcun altro.
Sicurezza = Conoscenza?
Le risposte a queste domande esistenziali nel corso del tempo, sono sempre state esaudite da una dottrina di matrice “religiosa” o “scientifica” al di fuori noi: dunque mi chiedo, perché l’individuo nonostante questo, è sempre insoddisfatto?
L’attuale schema sociale ha raggiunto, come in nessun altro tempo, un livello di conformismo tale da definire l’esistenza come una prigione dell’essere in cui la “normalità” è seguire i diktat del piacere, cercando di sfuggire al dolore diagnostico, per assicurarsi sicurezza e protezione, come in una dottrina spirituale.
Abbiamo adottato svariati metodi per fuggire dal dolore: molti di noi puntano verso lo stesso obiettivo, ovvero la certezza della conoscenza in ogni campo. Dobbiamo avere la certezza di chi siamo psicologicamente, finanziariamente – ma anche sessualmente e diagnosticamente – ma l’individuo che elude il dolore in realtà già sta fuggendo dalla conoscenza.
Siamo proiettati in un futuro così pieno di speranze che non riusciamo più a vivere nel presente.
La società (o meglio l’insieme delle credenze delle persone) vede la sofferenza come un sintomo da eliminare e non comprendere; questo però porta alla negazione e alla repressione dei nostri desideri profondi. Diciamo “sono basso ma devo essere alto” perciò il conflitto che genera dolore nasce dalla negazione di una parte di sé.
A dire il vero, la condizione di sofferenza si nasconde dietro la realtà quotidiana di un vissuto non indipendente, vincolato da qualcuno o qualcos’altro, o dall’essere sottoposti a una costrizione costante: una subordinazione lavorativa, una costrizione familiare o relazionale, consumando inconsciamente, una coercizione infantile.
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