FOTO E VIDEO DI ANAS ABU SAFIYA | TESTO di Simone Capuano – JABALYA/Napoli, 18 DICEMBRE 2024
Questo report, che ho scritto insieme ad Anas, uno studente palestinese, è una testimonianza diretta degli eventi nel campo rifugiati di Jabalya a Gaza, dove continua la campagna di disumanizzazione occidentale nei confronti del popolo palestinese.
Con le prove raccolte, intendo dimostrare l’essenza della complicità occidentale e israeliana nel genocidio palestinese.
E’ grazie al silenzio e alla complicità dei governi occidentali infatti, che Anas ha perso tutto. Chi è Anas, rispetto a noi, per non avere il diritto di studiare, di curarsi, di vivere? Chi è l’occidente per decidere dei diritti altrui?
Ma soprattutto, CHI SIAMO NOI PER PERMETTERLO?
Sono migliaia le testimonianze raccolte da ONG, giornalisti ed enti di giustizia internazionali che provano che i crimini di guerra commessi da Israele, come il blocco degli aiuti umanitari, le distruzioni su larga scala e i trasferimenti forzati, siano un tentativo di pulizia etnica.
Il territorio palestinese, anno per anno, pezzo per pezzo, cadavere per cadavere, è stato brutalizzato in un lento ma lungo processo di 75 anni, attraverso gli insediamenti israeliani, dichiarati illegittimi dalla comunità internazionale ma tutt’ora legittimati dall’establishment occidentale.
Per comprendere meglio il contesto di questo processo, voglio raccontare la storia di Anas, il cui nome, significa “cordialità” e “amicizia”. La stessa cordialità con cui Anas mi ha scritto su Instagram, alla ricerca di quell’aiuto che non ha trovato nel diritto internazionale.
“Ciao, sono Anas, del nord di Gaza, del campo di Jabalya, nello specifico, io e la mia famiglia siamo stati sfollati nel sud e ora stiamo soffrendo a causa dell’assedio, dei bombardamenti e del genocidio. (…) Ti invierò foto e video che mostrano la nostra situazione e la carestia che sta uccidendo i nostri corpi (…)“
Il campo di fortuna di Jabalya, dove vive Anas, è un simbolo delle difficoltà e delle sofferenze dei rifugiati palestinesi dalla *Nakba (catastrofe) del 1948, evento che ha segnato l’esodo forzato di migliaia di palestinesi a causa degli insediamenti israeliani illegali.
Come Anas mi racconta, infatti:
“(…) Sono nato e cresciuto in questo in questo campo rifugiati – spiega Anas – mio nonno vive nella città palestinese di Lod, sulla costa palestinese, e dopo la *Nakba, si è trasferito nel campo di Jabalya, poi ha costruito una casa, si è stabilito lì e ha costruito la sua vita lì (…) i cui residenti erano rifugiati nel 1948 (…)
E’ dal 1948 infatti, che i governi israeliani, attraverso la forza militare e l’uso di checkpoint, controllano e limitano gli spostamenti e la libertà dei palestinesi, violando il Piano di Partizione delle Nazioni Unite del 1947.
“Gaza era come una grande prigione ed esattamente come un macello – prosegue Anas – fin dalla mia infanzia, c’è stata una guerra per quasi due anni, a partire dal 2008, poi nel 2012, poi nel 2014, poi nel 2018, poi nel 2019, poi nel 2021, poi. Infine nel 2023, e continua fino ad ora (…)”.
La vita di Anas e della sua famiglia – come quella di migliaia di altre famiglie palestinesi – è segnata dal nomadismo, dall’impotenza e dall’insicurezza, a causa della distruzione fisica e, soprattutto, psicologica inflitta dall’apartheid israeliano.
In un documento dell’emittente TRT World, un soldato israeliano si vanta della distruzione inflitta alla città di Jabalya, affermando che da ora in poi non ci sarà più nessun posto di nome Jabalya, ma soltanto insediamenti israeliani. (video sotto)
Un altro documento video, testimonia la trasformazione di Jabalya, città natale di Anas, prima e dopo l’assedio dell’esercito di occupazione:
Anas prosegue raccontandomi dei continui sfollamenti:
“Siamo stati sfollati più volte, prima dal campo di Jabalya a Gaza City, poi da Gaza a Hamad Town, poi a Khan Yunis, poi a Rafah, poi nella zona di Al-Mawasi, poi nella zona di Nuseirat. Infine, a Deir al-Lah. (…) Ora ci troviamo in una tenda che non sopporta il freddo dell’inverno o il caldo dell’estate (…)
“Jabalya è stata completamente distrutta, trasformata in un mucchio di cenere, e non ci è rimasto nulla per costruire qualcosa, ma cerchiamo il più possibile di sopravvivere a tutto questo inferno (…). I carri armati ci hanno circondato più di una volta e ci hanno costretti a fuggire sotto i colpi (…) Ogni notte i bombardamenti non si fermano e sono casuali su tutte le aree (…)
Questa oppressione sistematica ha permesso al regime israeliano – e ai suoi partner occidentali – di mantenere il controllo sui territori e le risorse palestinesi, come cibo, acqua ed energia, causando gravi effetti negativi sul commercio e la vita quotidiana in generale.
Come mi spiega Anas, infatti:
“Abbiamo difficoltà soprattutto nel ricevere i requisiti più semplici per vivere, come acqua pulita per la doccia, acqua potabile e accesso al cibo. Alla luce di questa carestia, dovuta all’impedimento dell’ingresso di aiuti e medicine, io e i miei fratelli ci siamo ammalati. Epatite C (…)
A supporto della testimonianza di Anas, un rapporto di Human Rights Watch (HRW) di 179 pagine, corredato di foto satellitari, conferma che le autorità israeliane privano deliberatamente la popolazione palestinese dell’accesso all’acqua.
Ma una delle conseguenze più sentite da Anas, e dalla sua generazione, riguarda l’istruzione, come mi spiega:
“Lotto in circostanze difficili per ottenere la mia istruzione e completare i miei studi di ingegneria, poiché è il mio sogno d’infanzia diventare un ingegnere. Ho studiato i livelli primario, e secondario nelle scuole dell’UNRWA (…) sono passato al livello universitario, dove studiavo ingegneria all’Università di Al-Azhar a Gaza. Ho studiato fino al terzo anno, finché non è iniziata la guerra e i miei sogni e il mio futuro sono stati distrutti, poiché l’intera mia comunità, la nostra casa, le nostre strade e i nostri siti archeologici a Gaza sono stati distrutti, e tutti i nostri bei ricordi sono ora macerie“.
La devastazione del patrimonio culturale di Gaza – di biblioteche, musei, moschee, chiese, edifici – si configura anche come Genocidio culturale.
Proprio mentre scrivo questo report, apprendo che solo 17 ore fa l’occupazione israeliana ha bombardato l’ennesima scuola UNRWA (Agenzia ONU) insieme a numerose abitazioni civili, uccidendo decine di bambini, proprio nel campo di Anas. (video sotto)
A seguito del bombardamento di un’altra scuola delle Nazioni Unite, il Dott. Meds Gilbert, denunciava la complicità dei governi con queste parole:
“Riuscite a sentire? Riuscite a sentire le urla di Gaza? La macchina da guerra israeliana ha colpito un’altra scuola delle Nazioni Unite, uccidendo altre 700 persone“ (video sotto)
Sui crimini di genocidio e colonialismo occidentale a Gaza, i media e i regimi euro-americani si sono rivelati nel loro confacente Fascismo, etichettando ripetutamente i palestinesi come “terroristi”, sostenendo apertamente la campagna genocida israeliana.
D’altronde, lo stesso Nelson Mandela fino al ’92, era considerato un terrorista.
Un tentativo di censurare le violazioni dei diritti umani si è verificato quando l’esercito israeliano costringe l’emittente TV Al-Jazeera di Ramallah a chiudere.
A denunciare la censura occidentale, è stato Jean-Luc Mélenchon, diplomatico francese:
Il silenzio distopico di fronte a questi crimini efferati contro l’umanità – 30.000 bambini assassinati sotto macerie di scuole e ospedali (Fonte: Save the Children), tra i 120 e i 200 giornalisti uccisi (Fonte: CPJ e Governo di Gaza) – incarna un quadro senza precedenti di impotenza del diritto internazionale.
I crimini nella Striscia di Gaza, in particolare la fornitura di armamenti – con gli USA con 18 miliardi (Fonte: L’Indipendente) e l’UE con circa 340 milioni (Fonte: Euronews) – rivelano la spietata complicità dei governi occidentali nel genocidio palestinese.
Se è la negazione dell’esistenza di un popolo il fondamento del fascismo, questi governi sono responsabili di aver attuato una negazione di massa della verità sul genocidio palestinese, attraverso la propaganda, la vendita di armi, la repressione di proteste e la censura mediatica.
Come afferma Francesca Albanese, Relatrice speciale dell’ONU:
“I media occidentali dovrebbero essere indagati per il ruolo che stanno giocando nell’oscurare le atrocità di Israele”.
I risvolti positivi delle azioni legali contro i crimini di guerra e la complicità internazionale, come i mandati di arresto della Corte penale internazionale (CPI), iniziano a smuovere la coscienza globale, non solo di popoli, ma anche di paesi come l’Africa, la Spagna, il Nicaragua e l’Irlanda.
Persone come Anas, costrette a una vita di stenti, devono essere libere di autodeterminare i loro diritti. Gli stati firmatari della Convenzione sul genocidio sono obbligati a adottare misure per prevenire il Crimine di genocidio e, in questo caso, essere costrette ad autodeterminare la loro colpevolezza.
Per supportare Anas: Link GoFund qui
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