La sofferenza è legata all’attaccamento.
“L’uomo non ama il cambiamento, perché cambiare significa guardare in fondo alla propria anima con sincerità mettendo in contesa se stessi e la propria vita. (…) La maggior parte degli uomini preferisce crogiolarsi nella mediocrità e fare del tempo lo stagno della propria esistenza.” Così, Erasmo da Rotterdam, dava la sua definizione di dolore.
“Eppure, per noi, la stabilità è sinonimo di sicurezza. La coerenza è sinonimo di relazioni protettive; cerchiamo la sicurezza nel non cambiamento, nel cristallizzare ogni aspetto dell’esistenza. Non è forse così? Pirandello avrebbe asserito, in accordo con Erasmo, che ‘la vita è un flusso che noi cerchiamo di arrestare in forme stabili e determinate’.”
La natura cristallizzata del sintomo psichico
Secondo il buddhismo, il dukkha (dolore) nasce dall’attaccamento e dal desiderio. Il buddhismo, al contrario di molte dottrine moderne (diagnosi stabili o dottrine spirituali) insegna l’impermanenza: attaccarsi a qualcosa di impermanente, e di illusoriamente sicuro porta al dolore, poichè tutto è destinato a cambiare, trasformarsi, scomparire.
E allora scegliamo il Controllo. Il controllo dei nostri sentimenti ad esempio, diventa il modo per negare a noi stessi la verità della mutabilità dell’esistenza. Non accettiamo che quella persona se ne vada, o che non sia così perfetta come l’avevamo immaginata; non accettiamo di poter scegliere di allontanarci da una persona, seppure questa ha tradito le nostre aspettative, e così via..
Il sintomo (che altro non è che sentimento razionalizzato) è un facile esempio di questa situazione. Cristallizzare i propri sentimenti, come meccanismo di difesa quindi, diventa l’unica soluzione per circoscrivere e congelare quelle situazioni che non ci piacciono. Dire “sono depresso, non posso farci nulla”, oppure “sono bipolare, devo accettarlo” non fa altro che congelare i propri sentimenti, rendendo la trasformazione impossibile.
“La Paura è laddove c’è Controllo: definire le relazioni, le proprietà, le religioni, i Sentimenti; quando decidiamo di controllare e definire le Emozioni come Sintomi, è lì che nasce la malattia mentale”. Dal mio libro ©La Fragilità può essere Distrutta. (Link all’ordine)
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La base del dolore, è l’identificazione nel “sé”
L’apparire in un determinato modo, il voler essere migliore degli altri, il voler ascoltare soltanto la propria opinione e non comprendere in nessun modo l’altro, diventa l’unico modo per Affermare noi stessi. Al contempo, concentrarsi soltanto sugli altri e sulle loro motivazioni, senza mai riflettere su se stessi, rende l’ego cristallizzato; il “sé”, per timore, resta immutato.
Un percorso spirituale di serenità, sarà possibile quando inizieremo a prendere le distanze dal nostro “sé”. Ne troppo con noi, né troppo con gli altri. Ne troppo con gli altri né troppo con noi. Il “sé” o l’idea di sé, è ciò che genera orgoglio, avversione, conflitto, e quindi anche la possibilità del nuovo, e della trasformazione. Dovremmo iniziare a rendere questo “sé”, duro come una pietra, malleabile come l’argilla.
Il valore della solitudine, nel processo di liberazione del sé
La solitudine, per quanto possibile, mi ha insegnato sia le mie esigenze che quelle degli altri. Che le relazioni non devono essere “stabili” per essere “autentiche”, e che anzi, molte relazioni di oggi sono “stabili” per “non autenticità” e che la “non autenticità” causa sofferenza.
L’autenticità del dolore
La solitudine mi ha insegnato a scrivere, a buttare giù le reali conseguenze della mia sofferenza; a conoscere. Mi ha insegnato a confrontarmi e a trovare “l’autenticità”, mostrando agli altri la parte che più ripudiavo di me, quella che sta scrivendo adesso, che si vuole mascherare dietro l’entità del sintomo.
Il dolore nasce quindi, da un atto di “non verità” verso se stessi.
Nell’ultimo capitolo del mio libro, nel capitolo “Essere ciò che si è”, spiego in maniera indiretta (non dottrinale e spirituale) la mia esperienza. [Sotto i link per ordinarlo].
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