Un utilizzo sproporzionato delle categorie diagnostiche basate sui farmaci e sull’aumento delle diagnosi sta causando un eccesso di casi clinici e una diminuzione dei diritti umani.
L’OMS e le Nazioni Unite si uniscono agli appelli per abbandonare il modello bio-medico o organicista: questo modello, sostenuto dalle case farmaceutiche con l’uso degli psicofarmaci, ha erroneamente convinto persone e operatori sanitari che il malessere psichico sia dovuto a una “patologia della mente”.
L’adozione di tale modello ha portato non solo all’abuso della coercizione nel caso di disabilità psicosociali, ma anche alla medicalizzazione delle normali reazioni ai numerosi stress che fanno parte della vita, comprese forme moderate di ansia sociale, tristezza, timidezza e comportamento “antisociale”.
Nel tempo, anche molti psichiatri si sono espressi contro la corruzione delle compagnie farmaceutiche e dal loro modello “estremista-ideologico”, sottolineando l’importanza dell’incidenza dei fattori sociali come la violenza, la discriminazione, la povertà, l’esclusione, e la disoccupazione.
Come dico nel mio libro:
“La “malattia” psichica del nostro secolo è l’avversione per la diversità, contrapposta ad uno sfrenato conformismo, accreditato come salute mentale”. — dal mio libro ©La Fragilità può essere Distrutta. (Link all’Ordine qui)
Più recentemente il messaggio è stato rilanciato anche dall’organizzazione delle Nazioni Unite, con l’intervento del suo “Relatore speciale sul diritto di tutti al raggiungimento del più alto livello di benessere possibile”, spiegando come le attuali politiche di salute mentale sono influenzate dall’asimmetria del potere e dal monopolio del modello biomedico e farmaceutico.
Come si è detto, questa impostazione favorisce un utilizzo sproporzionato delle categorie diagnostiche, contribuendo a una eccessiva medicalizzazione degli interventi terapeutici. Inoltre, questa apertura alla medicalizzazione si oppone agli approcci di salute pubblica e dei diritti umani.
Il 10 giugno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un documento di 300 pagine intitolato “Guida ai servizi di salute mentale di comunità: promozione di approcci centrati sulla persona e fondati sui diritti“.
Il testo dice:
“La concentrazione predominante della cura continua ad essere sulla diagnosi, sui farmaci e sulla riduzione dei sintomi. I determinanti sociali che hanno un impatto sulla salute mentale delle persone (…) come ammortizzatori sociali e servizi sanitari, sono spesso trascurati o esclusi dalla pratica quotidiana della salute mentale; il che porta ad un eccesso di diagnosi cliniche e all’eccessiva dipendenza dagli psicofarmaci a scapito degli interventi psicosociali.
È necessario un cambiamento radicale nel campo della salute mentale, per porre fine all’attuale situazione. Ciò significa ripensare le politiche, le leggi, i sistemi, i servizi e le pratiche nei diversi settori della società che hanno un’influenza negativa sulle persone con disagio mentale e disabilità psicosociali, garantendo, al tempo stesso, il valore dei diritti umani (…) Tutto questo richiede un passaggio ad interventi terapeutici più equilibrati, centrati sulla persona, olistici e finalizzati al “recovery” e che pertanto considerano le persone nel loro contesto sociale (…) che favoriscano l’inclusione sociale.
[Tratto da un articolo di John Read]
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